Comunicazione

 

Comunicare (dal latino cum = con, e munire = legare, costruire e dal latino communico = mettere in comune, far partecipe) non è soltanto un processo di trasmissione di informazioni. 

In italiano, il termine "comunicazione" ha il significato semantico di "far conoscere", "rendere noto". 

È un processo costituito da un soggetto che ha intenzione di far sì che il ricevente pensi o faccia qualcosa.

La comunicazione avviene per mezzo di simboli, di un codice che ci permette di scambiare informazioni ad uno stesso livello.

Ha diverse finalità. Mi sto riferendo, nello specifico, ad un tipo di comunicazione che permetta di far  interagire due o più soggetti in una compresione reciproca. Com-prèn-de-re (io com-prèn-do) significa portare dentro di sé. È un contenere che è includere, un capire che è afferrare, una considerazione che riorganizza e ridisegna ogni assetto precedente.
Ciò che si comprende si fa proprio, entra dentro di noi e ci modifica.

La comprensione di un messaggio ci porta a vivere ciò che il messaggio stesso ha di vivo dentro di sé, ciò che l'altro ha vissuto. Mediante la sua testimonianza viviamo la sua esperienza, un'esperienza che diventa nostra in quanto ne diamo un significato.

Come un cibo, ha un gusto e questo gusto si rifà a me, alle mie papille gustative ed al mio sistema digerente; allo stesso modo, quando comunico mi rifaccio a ciò che io ho gustato e nel mio atto di comunicare cerco di trasmettere questo gusto, un gusto che poi, però, verrà assaggiato da un altro sistema, da un altro insieme; diventa quindi soggetto ad una nuova digestione. L'altro è diverso da me, ma allo stesso tempo è uguale in quanto siamo due parti immerse nel tutto.

Farsi comprendere, riuscire a comunicare ciò che vive dentro di noi è difficile, principalmente per un motivo: molte volte non sappiamo nemmeno noi cosa ci sta succedendo. È quindi indispensabile fare una certa chiarezza dentro di noi, per non innondare l'altro con mille parole perdendo poi il significato di ciò che si dice o, al contrario, per evitare di non dire assolutamente niente con l'idea che qualunque parola si possa usare non darebbe senso a ciò che si vive.

Ad ogni modo, non si può non comunicare, come suggerisce P. Watzlawick. Ciò acquisce senso anche nel momento in cui ci poniamo di fronte alle emozioni: non esiste comunicazione che non comprenda delle emozioni, considerando per assolto che le emozioni sono presenti in ogni attimo che viviamo. 

Le emozioni, come suggerisce l'etimologia della parola (dal latino e- movere, smuovere, portare da dentro a fuori), sono movimento di espressione, anzi, necessitano l'espressione e portano all'azione. 

In una "buona" comunicazione, avente lo scopo di farsi comprendere e di diminuire il divario, lo spazio, tra me e l'altro, diviene necessario esprimere le proprie emozioni. 

Ci sono molti modi per esprimere le proprie emozioni, ma non mi dilungherò oltre in questo discorso per porre, piuttosto, l'accento sul come comunicare in modo assertivo.

Comunicare in maniera assertiva significa adottare uno stile comunicativo che abbia una certa efficacia e che permetta all'altro di comprendere ciò che si vive o si è vissuto in un particolare momento. 

Comporre un messaggio assertivo è relativamente semplice, la cosa meno semplice è forse riuscire a cogliere con chiarezza ciò che si vive, considerato che quando le emozioni si fanno prepotenti la mente tende ad andar in confusione.

Ci sono principalmente due "regole", per così dire, nella composizione del messaggio assertivo:

scindere i fatti dalle emozioni

portare l'attenzione verso di sé

Per quanto riguarda il primo punto, è necessario differenziare ciò che è successo o succede (i fatti) da quello che è il mio vissuto (emozione) rispetto ai fatti.

Al fine di portare l'attenzione verso di sé è molto importante parlare in prima persona, parlare di ciò che ci è successo. Questo, innanzitutto, perché è l'unica cosa che possiamo dire, è l'unica cosa che proviene da noi e che ha senso comunicare all'altro nella ricerca della comprensione; in seconda battuta, perché se parliamo di noi, di un nostro vissuto, esprimiamo una verità, non accusiamo l'altro o non tiriamo in ballo l'altro con colpe o responsabilità, creando così uno spazio di apertura in cui l'altro non sente la necessità di difendersi, perché il mio vissuto e le mie emozioni sono mia responsabilità, non posso accusare l'altro per un mio vissuto, non ha questo potere, i miei vissuti sono una mia percezione di ciò che accade ed essendo una mia percezione hanno a che vedere con me, con la mia storia. Quello che dico, infatti, non è una verità assoluta, ma soltanto una mia verità. 

Venendo alla composizione del messaggio, lo schema è questo: 

1. descrizione del fatto

2. descrizione dell'effetto o conseguenza

3. descrizione del vissuto

Esempio: 

Lui è davanti al computer e lei gli sta parlando.

Lui non ascolta e lei entra in frustrazione.

Risposta reattiva di Lei: "Sei sempre il solito! Per te non valgo niente!                          

                                      Mi fai stare male! Non mi ascolti mai."

                              Lui: "Finiscila sei sempre la solita isterica! Ovvio che non ti ascolto!"

Questa modalità reattiva in cui uno attacca e l'altro si difende con un contrattacco innesca un escalation che non porterà a niente di buono, tenderà ad allontare e ad aumentare l'incomprensione che c'è.

Vediamo ora la stessa situazione utilizzando però il messaggio assertivo:

Lei: "Ho un problema con te"....."quando ti parlo e vedo che sei al computer, mi vien da   

        pensare che non ti interessa quello che dico e mi sento considerata una nullità".

Lui: "Capisco che non sia piacevole e mi dispiace."...."quando tu mi parli mentre sono al 

         computer mi innervosisco perchè sembra che ciò che faccio non abbia importanza".

E così via...

in questo modo si crea un dialogo non distruttivo per il rapporto, un dialogo di reciproca comprensione che porterà ad un incontro tra i bisogni dell'uno e dell'altro, lasciando libera  espressione a ciò che si muove dentro di noi.

"Un vero rapporto – nella terapia, nel matrimonio o tra genitori e figli – respira: c’è fusione e c’è separazione; ci sono momenti di passaggio: avvicinamento dalla lontananza e allontanamento dalla vicinanza. Un rapporto che respira è un rapporto vivo: un rapporto in cui non si cerchi la giusta distanza, – né troppa né troppo poca — è un rapporto formale, morto; o piuttosto imbalsamato. In ultima analisi possiamo dire che ciò che esiste non è un rapporto, ma piuttosto due persone, ciò che fanno l’uno con l’altro, la loro interazione."

B. Simmons